La Signora di Garian

imgErano  anni che ne sentivo parlare ma in maniera confusa tanto che non avevo capito se si trattasse di una scultura, di una pittura o di una leggenda metropolitana. Mi ripromettevo tuttavia di svelare l’arcano appena ne avessi avuto l’oppportunità. Accolsi quindi di buon grado l’ordine di recarmi a Garian per prestare delle cure ad un cavallo della locale stazione di polizia. Detto per inciso la cura degli effettivi della Polizia a Cavallo era un mio incarico ufficiale e per usare un termine in voga al giorno d’oggi  un  compito istituzionale.

Preparai  con cura i prodotti che ritenevo potessero essermi utili per una lunga trasferta. A Garian non c’era di certo una farmacia veterinara, anzi, per quanto ne sapevo io, non c’era una farmacia vera e propria ma un posto di guardia medica con una dotazione di farmaci. Comunque ero pronto e imboccai la strada verso Sud pieno di buona volontà e con la speranza di fare finalmente la conoscenza con la misteriosa Signora.

I primi 30 chilometri trascorsero nel verde delle aziende agricole punteggiato di ulivi e di mandorli.  Poi, come se esistesse una linea netta di demarcazione, alle aziende agricole fece seguito la steppa ondulata della Gefara disseminata di ginestre e di cespugli di alfa-alfa.

A metà strada c’era El Azizia, una località nota per l’intensità delle temperature estive, appena un gruppo di case cresciute disordinatamente ai lati del nastro d’asfalto con gli immancabili negozietti per la vendita di bibite disperatamente tiepide e gli ingradienti per fare il thè, esclusivamente verde con il contorno di arachidi tostate.

Garian, la mia meta,  era una ciittadina berbera appollaiata sulle pendici del Gebel Nefusa a circa 80 chilometri a Sud di Tripoli e quindi  ad appena un’ora d’auto .  Era nota per il suo clima temperato e la presenza di abitazioni scavate nella roccia risalenti alla più remota antichità dette appunto troglodite.  In realtà il tragitto richiedeva  molto più di un’ora  perché dopo avere attraversato la Gefara si incontravano i contrafforti del Gebel Nefusa.  Qui bisognava ingranare la seconda e armarsi di pazienza per affrontare i tornanti del famoso ciglione, una parete di roccia quasi verticale, lungo la quale  la strada si inerpicava  con una serie interminabile di curve e controcurve superando un dislivello di 800 metri in appena 15 chilometri.

Ai piedi del ciglione, prima di iniziare la salita,  c’erano sparsi al suolo i ruderi di un arco di trionfo d’epoca fascista che recavano ancora l’ iscrizione ‘ROMA  DOMA’ , come  il sogno di un impero coloniale sprofondato miseramente nella sabbia.

Giunto alla stazione di Polizia fui accolto con la consueta deferenza dal comandante. Poi il graduato responsabile delle scuderie mi accompagnò a visitare il paziente che con mia  sorpresa non era un cavallo ma  uno dei due muletti che venivano impiegati come cavalcatura nelle zone più impervie e nei sentieri di montagna. L’animale presentava un occhio quasi svuotato del suo contenuto e un rigagnolo di sangue essiccato lungo tutta la testa. Chiesi al graduato cosa fosse successo e mi rispose che l’animale si era ferito contro il ramo di un albero. La spiegazione non mi sembrò convincente. Era molto più probabile che il muletto avesse perso l’occhio per un colpo di frustino.

Mi feci portare una bacinella con acqua tiepida e sapone e cominciai a detergere l’occhio. Poi riempii  la cavità con una pomata all’ossido giallo di mercurio e invitai il graduato a ripetere la medicazione tutti i giorni Ad abundantiam aggiunsi una puntura di Trimicina.

Circa il futuro del muletto ero incerto sul da farsi. L’animale  doveva essere riformato e su questo non c’erano dubbi visto che con  un solo occhio non offriva sufficienti garanzie di sicurezza per il cavaliere. Ma mi dispiaceva un pò,  e così presi tempo limitandomi a scrivere sul suo  fascicolo personale : ‘perdita dell’occhio destro per ferita accidentale’. Il mio compito comunque era finito e mi era rimasto abbastanza tempo per mettermi alla ricerca della Signora di Garian.

Cominciai a chiedere notizie ad alcuni passanti ma la mia conoscenza della lingua locale era molto limitata e il termine ‘mra’ che in arabo significa ‘donna’ dava l’impressione che fossi alla ricerca di avventure extraconiugali. Finalmente trovai un anziano che conosceva un po’ di italiano e che mi accompagnò di buon grado in un gruppo di caserme abbandonate. Erano degli edifici ormai fatiscenti   costruiti intorno agli anni ’40 quando tutta la Tripolitania era una immensa caserma. Qui c’erano stati prima i soldati  Italiani, poi i tedeschi e per ultimi gli inglesi, dapprima come prigionieri di guerra e poi come forze d’occupazione.

E da quello che mi diceva la mia guida improvvisata erano stati proprio i prigionieri di guerra inglesi catturati a migliaia da Rommel, alias la volpe del deserto, con le sue fulminee avanzate in Cirenaica, ad affollare le caserme e a dare vita alla leggenda della Signora di Garian.  In un grande stanzone, verosimilmente un locale di ritrovo  e di svago, si poteva ammirare un  murale che occupava tutta la parete, tracciato a carboncino da  un prigioniero  dotato certamente di  talento artistico e  raffigurante una splendida donna nuda sdraiata sul fianco con la testa rialzata nell’atto di acconciarsi i capelli.

Il profilo del corpo riproduceva quelllo della Tripolitania  con i nomi delle varie località mentre una processione di piccoli carri armati percorreva le curve sinuose  della donna trasformando una occupazione militare in una conquista amorosa. Sullo sfondo erano rappresentate scene di guerra, sbarchi di mezzi anfibi, bombardamenti aerei, assalti all’arma bianca.

Quella figura femminile su quella nuda parete emanava un grande fascino. Pensai per un attimo ai prigionieri che un tempo avevano affollato lo stanzone, alle loro risate, ai loro scherzi. Sicuramente l’immagine della donna aveva  alimentato per mesi se non per anni i loro sogni amorosi e alleviato la nostalgia di casa dei più giovani. Questo fino al giorno in cui erano arrivati  i reparti dell’ VIII Armata Britannica del Generale Montgomery a liberarli e a mettere la parola ‘fine’al conflitto.

Ora le caserme , abbandonate e spoliate degli infissi, delle porte e di quanto era stato possibile asportare, erano diventate nel corso degli anni dei ruderi. Nella desolazione generale solo la Signora di Garian continuava a sorridere, indifferente a tutto, ai mutamenti storici che erano intervenuti  dopo il conflitto,  al trascorrere inesorabile del tempo che aveva cancellato tutto ma lasciata inalterata la sua prorompente bellezza.

Abu-Sittah

ippodromoL’ippodromo tripolino della Abu-Sittah aveva sicuramente visto tempi migliori durante gli anni ruggenti del bieco colonialismo quando le corse al galoppo erano un evento mondano e l’occasione per sfoggiare le ultime novità della moda. Sulle tribune sedevano signore impellicciate, ufficiali in alta uniforme mentre il servizio d’ordine era affidato agli zaptie’,i carabinieri libici, avvolti nei loro pittoreschi burnus azzurri, infiocchettati e bordati di rosso con i fregi dell’Arma.
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