Tagiura

Horse-VaccinationAnche Tagiura, il piccolo borgo nel cuore dell’oasi, aveva la sua brava stazione di polizia con un reparto a cavallo dotato di otto soggetti. I poliziotti a cavallo avevano la possibilità di vigilare meglio sul territorio traguardando i giardini oltre le tabie, i caratteristici muri di sabbia sormontati dalle siepi di fichi d’India, ascoltando le voci degli abitanti molto meglio che restando a bordo di una Land Rover.

Tra i cavalli spiccava per la statura e la bellezza un baio bruciato che era l’orgoglio del graduato addetto alle scuderie. Più volte il tenente Regeb, responsabile dello squadrone di rappresentanza, aveva tentato di portarlo tra i suoi effettivi ma il graduato si era sempre opposto. Anche l’escasmotage di prelevarlo approfittando di un temporaneo ricovero dell’animale nell’Infermeria Quadrupedi di Sghedeida non era andato a buon fine perché il baio, oggetto del desiderio, aveva una salute invidiabile.

In realtà anche gli altri cavalli si ammalavano raramente perché erano seguiti tutti con cura maniacale. Ogni mattina venivano portati all’abbeverata e sottoposti alle rituali spugnature con acqua fresca, prima gli occhi, poi le narici, poi l’ano, il perineo e dulcis in fundo i genitali. Anche le zoppicature erano piuttosto rare perché rientrare in stazione con un cavallo azzoppato non era consigliabile soprattutto se il graduato era ancora in servizio. In aggiunta il terreno dell’oasi era pianeggiante, tutto coltivato a giardini, con strade sterrate ma senza passaggi di duna. Proprio l’ideale per la salute dei tendini e l’integrità degli zoccoli.

Per questi motivi le visite del veterinario, che nella fattispecie ero io, erano piuttosto sporadiche e limitate ai compiti d’istituto come il controllo della qualità del fieno e dell’orzo quando subentrava un nuovo fornitore.

Eppure malgrado tutte le cure e tutte le precauzioni venne anche per il baio, come per tutti i cavalli, il momento della colica. Panico generale e personale in ambasce attorno all’illustre paziente.

La richiesta di intervento arrivò di buon mattino mentre ero nel laboratorio d’analisi alle prese con un campione di sangue prelevato in un gregge di pecore dove si era manifestata una forte mortalità. Come al solito ero incerto se classificare le catenelle di batteri visibili al microscopio come agenti del carbonchio o germi della putrefazione. I due batteri si somigliano maledettamente e dati i tempi del trasporto e la temperatura ambientale sempre elevata raramente arrivavano in laboratorio campioni che non fossero intaccati da fenomeni putrefattivi. Dissi all’assistente Hassen di continuare la ricerca sperando che data la sua pluriennale esperienza riuscisse a trovare delle catenelle meno ambigue.

Il baio in questione era in condizioni pietose. Contrariamente agli altri cavalli che appena sentono la fitta di dolore si sdraiano e si rotolano al suolo, questo calciava con violenza contro le pareti della scuderia rischiando di uccidere qualcuno o di fratturarsi un arto. Si trattava di una colica di tipo spastico particolarmente violenta e la scelta del farmaco non poteva essere che la morfina, in vena e nella dose standard per cavalli. Seguì un periodo di torpore che utilizzai per procedere a quella che veniva definita pomposamente idroterapia e che consisteva in un clistere di alcune decine di litri e una immissione di acqua nello stomaco attraverso una sonda rino esofagea. Questo tanto per cominciare. Più tardi sarei intervenuto con degli spasmolitici sempre in vena, dei cardiotonici e tutti i presidi disponibili a quell’epoca.

Sulle coliche mi ero fatto una mia opinione personale. Le coliche di tipo spastico anche se violente erano trattabili e risolvibili con la giusta terapia mentre le coliche tromboemboliche, anche se torpide e con poco dolore, terminavano invariabilmente con la morte del paziente. Queste ultime erano causate dalla migrazione di parassiti intestinali che formavano dei trombi e occludevano i grossi vasi dell’intestino. A titolo preventivo era fondamentale sverminare i cavalli cosa che veniva fatta ogni tre mesi su tutti gli effettivi della Polizia con 30 grammi di Fenotiazina.

Tornando al nostro paziente le cure avevano sortito il loro effetto e il baio appariva più rilassato e stendeva indietro il posteriore nel tentativo di urinare, segno evidente che la fase acuta era superata.

A questo punto l’ufficiale comandante della stazione mi invitò nel suo ufficio per prendere una bibita e parlare del più e del meno.

Qui con tono noncurante gli riferii di aver visto attraversando l’oasi con il mio maggiolino un vecchio agricoltore che recideva delle pale di fichi d’India con una corta sciabola verosimilmente per farne del foraggio. Non aggiunsi altro tenendo per me il desiderio di possedere quella sciabola per esporla assieme alle altre sulle pareti del mio soggiorno. Per le armi antiche avevo una vera passione e in pochi secondi avevo visto che la sciabola era corta, leggermente ricurva e con l’elsa in ottone. Si trattava sicuramente di una sciabola per militari appiedati forse di fabbricazione tedesca. . L’ufficiale non fece alcun commento e la cosa finì lì.

A distanza di qualche mese tornai a visitare la stazione di Polizia di Tagiura e ne approfittai per controllare il baio reduce della colica. Stava benissimo e il mantello splendeva sotto il sole. Feci i miei complimenti al graduato responsabile elle scuderie.

Come l’altra volta l’ufficiale comandante mi fece accomodare nel suo ufficio per bere insieme la solita bibita ma questa volta c’era una novità. ‘Ho un regalo per te’ disse. E fece cenno con la testa verso un angolo dell’ufficio. Dritta in piedi contro l’angolo c’era la famosa sciabola. Provai un po’ di rimorso per il vecchio agricoltore e chiesi all’ufficiale perché gliela avesse sequestrata. ‘Lui non la può tenere’ disse, ‘è il regolamento’ ‘E io?’. ‘Tu si, perché sei un ospite e perché ti piace’. ? ‘E non fare tante domande, prendila e arrivederci’.

Non ho mai esposto la sciabola sulle pareti di casa. L’eventualità che un malintenzionato la possa staccare dal muro e usarla sui mei familiari mi ha sempre trattenuto dal farlo. E’ finita su di un armadio avvolta in un vecchio giornale coperta di polvere. Ho sempre pensato che era meglio se l’avesse tenuta il vecchio agricoltore.